Nicola II visto da Kerenskij
Dopo tutto quello che è successo, noi possiamo forse farci ora un’idea più esatta della responsabilità di Nicola II nelle sofferenze e nei disastri del suo regno. Per me almeno non è più il «mostro disumano» quale mi appariva un tempo. Il male che egli ha fatto non si dovette certo ad alcuna cattiva intenzione personale. Dopo tutto egli era stato completamente isolato dal suo popolo fin dalla culla.
Inoltre fin dall’infanzia gli si era fatto credere che i suoi interessi coincidevano con quelli della Russia. La sua idea era che la Russia non avrebbe potuto esistere senza l’autocrazia, ond’è che tutti gli operai, i contadini e gli studenti che venivano fucilati erano per lui dei veri nemici della Nazione, che dovevano essere soppressi per amore della pace e del benessere di milioni di sudditi leali.
Durante le mie visite al palazzo Alexandrovski io ho sempre cercato di decifrare l’essere umano dietro l’Imperatore. E forse in parte vi sono riuscito. Egli era un uomo straordinariamente riservato, reticente, con molta diffidenza e molto disprezzo per gli altri. Non era gran che intelligente, aveva avuto una educazione mediocre e mancava d’ogni vitalità. Tuttavia, aveva, istintivamente, una certa conoscenza della vita e degli uomini.
Ciò che impressionava in lui era la completa indifferenza per il mondo che lo circondava, come se egli non amasse né stimasse alcuno e non fosse mai sorpreso di ciò che gli succedeva. Questo fatto di essere estraneo al mondo esterno lo aveva reso un automa. Quando ho avuto modo di conoscere meglio il suo volto, non ho potuto fare a meno di pensare che esso fosse una maschera. Dietro quel sorriso e quegli occhi vaganti c’era qualche cosa di glaciale e di morto: un terribile isolamento, una grande desolazione… Pareva un mistico tutto assorto nel cielo perché stanco, indifferente, disgustato delle cose terrestri, forse perchè tutte le cose terrestri erano state troppo accessibili, troppo pronte a darsi nelle sue mani.
Studiando questa maschera vivente io ho cominciato a capire perché le redini del Governo gli fossero così facilmente sfuggite di mano. Egli sopportò «il peso del potere» fino alla fine. Ma non avrebbe fatto nulla per ottenerlo. Non aveva alcun desiderio di regnare. Il potere, come tutto il resto, lo annoiava. Depose con calma il suo scettro per afferrare la vanga di un giardiniere: gettò da una parte la porpora imperiale così come in gioventù avrebbe mutato un’uniforme per un’altra. Ed ora gustava la novità di essere senza uniforme, come un cittadino qualunque, libero da ogni dovere e da ogni obbligo. Non c’era stato alcun dramma intimo in lui. «Fu la volontà di Dio», egli disse : ed entrò così nella vita privata.
Tutti coloro che lo hanno osservato attentamente durante la sua prigionia sono unanimi nell’affermare che durante questo periodo l’ex-Imperatore si mostrò generalmente calmo e felice perfino, come se le sue nuove condizioni di vita fossero per lui motivo di gioia. Spaccava la legna, e ne faceva dei mucchi qua e là nel parco; aveva cura dei fiori e delle ortaglie, portava i suoi figlioli in barca e remava egli stesso; faceva con essi delle passeggiate e alla sera leggeva loro ad alta voce. Un carico pesante gli era stato tolto dalle spalle; era più libero e si sentiva meglio, ecco tutto.
Al suo fianco, invece, c’era una donna che soffriva di essere stata privata d’ogni potere, non sapeva dimenticare la sua posizione d’un tempo né rassegnarsi alla prigionia: una donna squilibrata, isterica, moralmente deficiente, ma forte, passionale e orgogliosa. Essa angustiava e opprimeva tutti quanti intorno a sè colle sue angosciose impazienze, coi suoi odii e colla sua ribellione. Donne come lei nulla dimenticano e nulla perdonano.
Durante l’inchiesta sulle attività del circolo della Zarina (Rasputin e altri) fu necessario impedire che l’ex-Imperatore e sua moglie si intendessero e che la Zarina esercitasse una certa pressione su suo marito. Furono quindi separati durante l’inchiesta. Si incontravano soltanto ai pasti. Io spiegai la ragione di questa spiacevole misura allo Zar e lo pregai di sopportarla con pazienza. Tutto andò per il meglio e tutti notarono anche che la separazione aveva avuto un effetto favorevole sull’ex-Zar. Era divenuto più vivace, più felice e più fiducioso. Quando io gli annunciai che ci doveva essere questa inchiesta e che forse l’Imperatrice sarebbe stata processata, egli prese la cosa con calma e si limitò a dire : «Oh, non credo che Alix sia realmente coinvolta… Avete delle prove?».
«Non lo so — dissi io — non ancora…».
Durante tutto il tempo della sua prigionia Nicola II seppe sempre padroneggiarsi e si mostrò di una grande rassegnazione. Per lui tutto era volontà di Dio. Si comportò fino alla fine come un uomo predestinato, consapevole del suo destino. «Non me ne va mai bene una, io sono un uomo sfortunato; in ogni caso la volontà umana è impotente. Il 6 maggio (quando Nicola II nacque) è la festa del povero Giobbe… Molte volte ho applicato a me s’tesso le parole di Giobbe: Perché la cosa che io grandemente temevo mi è capitata e quella di cui avevo paura mi è pure occorsa».
Tali — molto tempo fa — furono le parole che l’ultimo Imperatore di Russia disse a Stolypin.
Inoltre fin dall’infanzia gli si era fatto credere che i suoi interessi coincidevano con quelli della Russia. La sua idea era che la Russia non avrebbe potuto esistere senza l’autocrazia, ond’è che tutti gli operai, i contadini e gli studenti che venivano fucilati erano per lui dei veri nemici della Nazione, che dovevano essere soppressi per amore della pace e del benessere di milioni di sudditi leali.
Durante le mie visite al palazzo Alexandrovski io ho sempre cercato di decifrare l’essere umano dietro l’Imperatore. E forse in parte vi sono riuscito. Egli era un uomo straordinariamente riservato, reticente, con molta diffidenza e molto disprezzo per gli altri. Non era gran che intelligente, aveva avuto una educazione mediocre e mancava d’ogni vitalità. Tuttavia, aveva, istintivamente, una certa conoscenza della vita e degli uomini.
Ciò che impressionava in lui era la completa indifferenza per il mondo che lo circondava, come se egli non amasse né stimasse alcuno e non fosse mai sorpreso di ciò che gli succedeva. Questo fatto di essere estraneo al mondo esterno lo aveva reso un automa. Quando ho avuto modo di conoscere meglio il suo volto, non ho potuto fare a meno di pensare che esso fosse una maschera. Dietro quel sorriso e quegli occhi vaganti c’era qualche cosa di glaciale e di morto: un terribile isolamento, una grande desolazione… Pareva un mistico tutto assorto nel cielo perché stanco, indifferente, disgustato delle cose terrestri, forse perchè tutte le cose terrestri erano state troppo accessibili, troppo pronte a darsi nelle sue mani.
Studiando questa maschera vivente io ho cominciato a capire perché le redini del Governo gli fossero così facilmente sfuggite di mano. Egli sopportò «il peso del potere» fino alla fine. Ma non avrebbe fatto nulla per ottenerlo. Non aveva alcun desiderio di regnare. Il potere, come tutto il resto, lo annoiava. Depose con calma il suo scettro per afferrare la vanga di un giardiniere: gettò da una parte la porpora imperiale così come in gioventù avrebbe mutato un’uniforme per un’altra. Ed ora gustava la novità di essere senza uniforme, come un cittadino qualunque, libero da ogni dovere e da ogni obbligo. Non c’era stato alcun dramma intimo in lui. «Fu la volontà di Dio», egli disse : ed entrò così nella vita privata.
Tutti coloro che lo hanno osservato attentamente durante la sua prigionia sono unanimi nell’affermare che durante questo periodo l’ex-Imperatore si mostrò generalmente calmo e felice perfino, come se le sue nuove condizioni di vita fossero per lui motivo di gioia. Spaccava la legna, e ne faceva dei mucchi qua e là nel parco; aveva cura dei fiori e delle ortaglie, portava i suoi figlioli in barca e remava egli stesso; faceva con essi delle passeggiate e alla sera leggeva loro ad alta voce. Un carico pesante gli era stato tolto dalle spalle; era più libero e si sentiva meglio, ecco tutto.
Al suo fianco, invece, c’era una donna che soffriva di essere stata privata d’ogni potere, non sapeva dimenticare la sua posizione d’un tempo né rassegnarsi alla prigionia: una donna squilibrata, isterica, moralmente deficiente, ma forte, passionale e orgogliosa. Essa angustiava e opprimeva tutti quanti intorno a sè colle sue angosciose impazienze, coi suoi odii e colla sua ribellione. Donne come lei nulla dimenticano e nulla perdonano.
Durante l’inchiesta sulle attività del circolo della Zarina (Rasputin e altri) fu necessario impedire che l’ex-Imperatore e sua moglie si intendessero e che la Zarina esercitasse una certa pressione su suo marito. Furono quindi separati durante l’inchiesta. Si incontravano soltanto ai pasti. Io spiegai la ragione di questa spiacevole misura allo Zar e lo pregai di sopportarla con pazienza. Tutto andò per il meglio e tutti notarono anche che la separazione aveva avuto un effetto favorevole sull’ex-Zar. Era divenuto più vivace, più felice e più fiducioso. Quando io gli annunciai che ci doveva essere questa inchiesta e che forse l’Imperatrice sarebbe stata processata, egli prese la cosa con calma e si limitò a dire : «Oh, non credo che Alix sia realmente coinvolta… Avete delle prove?».
«Non lo so — dissi io — non ancora…».
Durante tutto il tempo della sua prigionia Nicola II seppe sempre padroneggiarsi e si mostrò di una grande rassegnazione. Per lui tutto era volontà di Dio. Si comportò fino alla fine come un uomo predestinato, consapevole del suo destino. «Non me ne va mai bene una, io sono un uomo sfortunato; in ogni caso la volontà umana è impotente. Il 6 maggio (quando Nicola II nacque) è la festa del povero Giobbe… Molte volte ho applicato a me s’tesso le parole di Giobbe: Perché la cosa che io grandemente temevo mi è capitata e quella di cui avevo paura mi è pure occorsa».
Tali — molto tempo fa — furono le parole che l’ultimo Imperatore di Russia disse a Stolypin.