Strano come un posto, che tu non hai mai veduto, possa avere tanta presa sulla tua mente, sì che solo sentirne il nome suscita in te una risonanza. Per me un posto siffatto era Fargo, North Dakota. Forse il primo fascino sta nel nome Wells-Fargo, ma non c’è dubbio che il mio interesse va più in là. Se tu prendi una carta degli Stati Uniti e la pieghi in due, margine orientale contro margine occidentale, e poi passi l’unghia sulla piega, nel centro troverai Fargo. A volte nelle carte a doppia pagina il nome Fargo va perso per via della piegatura. Può darsi che non sia questo il metodo scientifico per trovare l’asse centrale del proprio paese, ma funziona. Per me Fargo è fratello dei posti più favolosi del mondo, parente di quei luoghi magicamente remoti di cui fanno parola Erodoto, Marco Polo e Mandeville. Stando al mio primo ricordo, se quel giorno era freddo, Fargo era il posto più freddo, del continente. Si parlava invece di caldo? Ebbene, i giornali quel giorno dicevano che a Fargo c’era più caldo che in ogni altra zona. Oppure più umidità, o più siccità, o la neve più alta. Almeno, questa la mia impressione. Ma io so che una ventina di altre città si leveranno offese e irate contro di me, e mi dimostreranno, dati alla mano, di avere un clima più tremendo che Fargo. Chiedo scusa fin da ora. Per placare i sentimenti offesi, debbo ammettere che quando traversai Moorehead, Minnesota, e traversato il Fiume Rosso entrai a Fargo, sull’altra sponda, era una dorata giornata d’autunno, la città era densa di traffico, impiastricciata di neon, fragorosa e vorticante di attività come ogni altra città in espansione di quarantaseimila anime. La campagna non era diversa da quella del Minnesota, oltre il fiume. Traversai la città come al solito, vedendo poco più che l’autocarro davanti e la Thunderbird nello specchietto retrovisore. Fa male vedere un mito crollare a questo modo. Chissà se a Samarcanda, o al Catai o a Cipango toccherebbe la stessa sorte. Non appena ebbi superato i sobborghi, cioè quell’anello esterno di metallo e vetro, e mi fui avviato verso Mapleton, trovai un posto gradevole per fermarmi, sul fiume Maple non lungi da Alice… che nome meraviglioso per una città, Alice. Nel 1950 aveva 162 abitanti, e all’ultimo censimento 124. Questa l’esplosione demografica ad Alice. In ogni modo, sul Maple io entrai in un boschetto, di sicomori credo, e sostai a leccarmi le mie ferite mitologiche. E scoprii con gioia che il fatto di Fargo non aveva per nulla disturbato il quadro mentale che me nero fatto. Potevo ancora pensare a Fargo come sempre… battuta dalla tormenta, devastata dalla calura, coperta dalla polvere. Sono felice di riferire che nella guerra fra realtà e fantasia non è la realtà la più forte.
John Steinbeck, Viaggi con Charley. Alla ricerca dell’America, pp. 137-138.