La salute mentale negli adolescenti
La conferenza si è tenuta lo scorso 23 febbraio presso il Centro Studi Achille e Linda Lorenzon di Treviso, articolazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Gli spunti offerti dalla presentazione del primario Vicari e dagli interventi degli astanti (prevalentemente professionisti delle Asl, psicologi, pediatri e religiosi, ma con qualche infiltrato, come il sottoscritto, proveniente dal mondo della scuola) hanno permesso di delineare la cornice complessiva del problema della salute mentale e successivamente approfondire la preoccupante curvatura che i disturbi mentali hanno assunto in età evolutiva negli ultimi anni.
Rispetto al delinearsi del quadro generale, è stato innanzitutto sottolineato come il problema della malattia mentale sia presente in tutte le società in percentuali grossomodo simili per ciascuna fascia di età (il 10% nei bambini, il 16% negli adolescenti e il 20-25% negli adulti): i disturbi mentali, nella varietà delle loro tipologie, sono quindi una caratteristica legata alla specie sapiens.
Inoltre, si ritiene che circa il 60-70% dei disturbi mentali negli adulti presenti dei sintomi significativi fin dall’età evolutiva. Evidentemente la trasmissione del patrimonio genetico ha un ruolo importante nella probabilità di sviluppare forme più o meno invalidanti di malattie psichiatriche; tuttavia la matrice biologica e genetica di queste patologie non presenta caratteri meramente deterministici, quanto piuttosto probabilistici: i fattori ambientali giocano infatti un ruolo decisivo nel determinare il benessere mentale di ciascun individuo.
In effetti, ha sostenuto Vicari, il focus con cui viene scorciato il problema dovrebbe auspicabilmente transitare dalla malattia mentale alla salute e al benessere mentale: la pubblicazione e la divulgazione di testi, anche non specialistici, dedicati a questi temi risulta cruciale per la normalizzazione di uno spettro di patologie che, se adeguatamente trattate, possono costituire un momento complesso ma transitorio nella vita delle persone che si trovano a doverle affrontare. Insomma, parlare della salute mentale costituisce un primo passo affinché chi ne soffre riesca a porre i presupposti per un intervento tempestivo e adeguato.
Secondo Vicari il motivo fondamentale per cui ciò non avviene nell’infanzia e nell’età evolutiva è determinato da quella sorta di sanzione sociale che fa sì che i genitori, mentre si rivolgono immediatamente ad un medico nel caso di problemi anche lievi di natura fisica dei propri figli, non fanno altrettanto nel caso di sofferenza psicologica, ansia prolungata, stati depressivi o forme di autolesionismo, rifiutando così di prendere in considerazione un quadro sintomatologico che, se trascurato, può provocare difficoltà ancora maggiori sul lungo periodo. Dietro questa forma di negazione (che spesso si condensa nell’idea che “con il tempo tutto si risolverà da sé”) si cela il senso di colpa genitoriale rispetto all’insorgenza di questo ordine di problematiche.
Per questo motivo molte famiglie mettono in atto, consapevolmente o meno, forme di resistenza nel rivolgersi ad uno specialista nel caso di difficoltà dei figli, che nell’opinione comune continuano ancora ad apparire, per propria natura, come del tutto estranei a problemi di ordine psichiatrico. Non a caso a questa generale rimozione dei problemi mentali nell’infanzia e nell’adolescenza fa da contrappunto la carenza di strutture e personale del Sistema Sanitario Nazionale di psichiatria evolutiva, che in tutta Italia presenta circa cento posti letto complessivi: i dati elencati dal Prof. Vicari sulla disponibilità di posti letto su base regionale è indicativa del fatto che alla mancata rilevazione del bisogno corrisponde anche la carenza di strumenti (strutturali e di personale) per affrontare un problema sempre più impattante.
Nel permanere complessivo di questo atteggiamento generale diffuso nei confronti del disagio mentale, negli ultimi anni tuttavia sembra che qualcosa sia cambiato, quantomeno nella rilevanza di questi fenomeni e nella loro percezione. Sulla salute mentale negli adolescenti ha sicuramente influito la fase del lockdown dovuto all’epidemia di Covid-19: ma anche altri fattori decisivi, e forse più importanti, hanno inciso sull’aumento di richiesta di aiuto ai centri per la salute mentale. Il primo di questi è il ricorso in età sempre più precoce ai cannabinoidi, che in alcune realtà sociali vengono assunti regolarmente fin dai 10-11 anni di età; in seconda battuta la persistente “invisibilità” dei casi di abuso e maltrattamenti, che difficilmente viene individuata come causa di disagio in età evolutiva. Infine, lo snodo cruciale che Vicari ha individuato sulla base della propria esperienza clinica è l’anno 2013. L’individuazione di questo spartiacque è motivata proprio dal numero di consulenze neuropsichiatriche per casi gravi di disagio mentale offerte dal reparto in cui Vicari è primario: se fino al 2013 si registravano mediamente 150-200 consulenze all’anno, tale numero è progressivamente cresciuto fino a diventare di 1800-2000 l’anno nel post pandemia. Secondo Vicari tale crescita esponenziale non è stata determinata soltanto dal periodo di lockdown, ma, dal 2013 fino al 2020, è stata resa possibile dalla drastica riduzione del prezzo di vendita degli smartphone, che ha permesso una rapidissima e pervasiva penetrazione di questo strumento nelle fasce d’età più giovani, generando fenomeni di dipendenza con esiti negativi sulla salute mentale negli adolescenti e nei bambini. Un altro dato significativo di questo fenomeno è quello del tempo medio trascorso ogni giorno da un adolescente con lo smartphone, che si attesta attorno alle 6 ore al giorno, e che interessa soprattutto le fasce maggiormente deprivate dal punto di vista culturale ed economico, le più esposte, in mancanza di altri stimoli significativi, alla passività cognitiva determinata dalla fruizione dello smartphone.
Nell’ottica di rafforzare i fattori ambientali per il benessere mentale, un ruolo essenziale può essere svolto da tutte le agenzie educative che, al di fuori della famiglia, siano in grado di fare in modo che si instaurino tra bambini e ragazzi delle relazioni reali: alla maturazione della capacità di gestire emozioni come rabbia, frustrazione o euforia, che dovrebbe essere appannaggio delle figure genitoriali fin dall’infanzia, è necessario che ragazzi e ragazze si incontrino in spazi di confronto, aggregazione e collaborazione variamente strutturati, e tuttavia non necessariamente vincolati all’essere meri luoghi o “sfondi” in cui si svolgono attività che scandiscono l’organizzazione quotidiana e settimanale. In altre parole, le relazioni non devono essere sostituite da attività che riempiono le caselle di tempo dei ragazzi e probabilmente, ancor prima, delle famiglie stesse, alle prese con difficoltà organizzative e logistiche di varia tipologia. Inoltre, Vicari ha sottolineato come la sostituzione dell’autoritarismo educativo con una relazione di tipo amicale tra genitori e figli abbia fatto sì che i limiti della trasgressione da parte dei ragazzi si siano sempre più spostati verso orizzonti estremi: la concessione di spazi di trasgressione alle regole e alle figure genitoriali dovrebbe essere il frutto di un’assunzione di responsabilità da parte degli adulti del proprio ruolo educativo.
L’immagine in evidenza del post è ripresa da questa pagina del Ministero della Salute Pubblica.
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